lunedì 19 ottobre 2015

IL LEADER CHE NON C’E’


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Da sempre l’idea o il progetto di qualcosa di fortemente innovativo sono indissolubilmente legate a nomi e cognomi destinati a restare nella storia. Questo avviene in tutti campi del sapere e del pensiero umano, ma quando questo, accade in politica colui che l’incarna, in genere, anche non volendo, diventa un leader. Perché in politica, oltre l’idea innovativa , è necessaria la prassi, l’organizzazione, la motivazione emotiva e ideale, altrimenti si rischia i cadere nel tran tran burocratico, notarile, ininfluente e legato solo a logiche amministrative e/o di spartizione del potere. Mi si dirà che non sempre l’dea corrisponde ad un’azione vera e propria e, conseguentemente, non dà vita, oltre alla progettualità, a nessuna forma di leaderismo, ed è certamente vero ma entreremmo in un campo più complesso che tira in ballo l’intellighenzia e il ruolo degli intellettuali organici, che ci porterebbe ad altro rispetto quello che vorrei evidenziare. Perché questa riflessione sui leader o sul leaderismo? Sicuramente perché, specialmente a sinistra, ne sentiamo visceralmente il bisogno avendo in questi anni traversato tutte le possibile interpretazioni ideali o di realismo politico, ma, escludendo alcuni trascurabili momenti, senza poterli legare a una o più figure carismatiche capaci di scuotere emotivamente la passione e la ragione. Certamente l’ideale, la passione, il trasporto possono e devono essere indipendenti da una figura che ne esalta ma potrebbe anche limitarne l’impatto. Pensiamo all’attualità e al M5S. Senza il traino mediatico e carismatico di un personaggio come Grillo, il movimento avrebbe avuto quel successo e quello sviluppo rapido cui abbiamo assistito? O, sarebbe, molto più realisticamente rimasto confinato nel ristretto ambito della velleitaria protesta qualunquista al pari, ad esempio, del movimento dei forconi?
Dicevamo, la sinistra ha presentato negli ultimi venti anni, sull’onda della necessità di adeguarsi al nuovo, diverse sfaccettature e variabili, ognuna legata a personaggi che l’hanno, più o meno coerentemente, rappresentata. Ma pensando a Occhetto, Prodi, Veltroni, Bertinotti, Bersani fino ad arrivare agli attuali Renzi, Vendola, Civati e Ferrero possiamo in loro scorgere e riconoscere quel quid che fa di un buon politico (con idee più o meno criticabili) un leader carismatico e trascinatore di folle? Ognuno di loro ha trovato o troverà una ristretta cerchia di adoratori e ammiratori a prescindere che, ne hanno fatto o ne potrebbero fare, un piccolo rais, ma non certo un leader. In alcuni momenti alcuni di questi hanno avuto l’intuizione giusta al momento giusto per fare il salto di qualità ma, l’hanno poi cristallizzata in una visione ferma all’attimo  e incapace di tradursi ed evolvere in capacità di analisi e di empatia con il proprio popolo.
Queste riflessioni mi sono state indotte dalla lettura dell’intervista del presidente del mio partito, Vendola, pubblicata sul Manifesto. Ecco, quella mi è sembrata la classica situazione in cui il potenziale leader ha perso drammaticamente e, forse, irrimediabilmente la lucidità necessaria per incarnare un' idea che sia trainante e passionalmente coinvolgente. Se Vendola, in questo caso, ma riguarda un po’ tutti, avesse ancora la capacità di leggere le dinamiche sociali e politiche scrollandosi di dosso l’amore per proprie visioni che il tempo e l’esperienza hanno dimostrato aver esaurito la carica innovativa, avrebbe capito che certe dichiarazioni sono fuori tempo massimo, non solo per i lavoratori e i cittadini, ma anche per gran parte del proprio piccolo ma appassionato popolo. Si dimostra che, chi non riesce più ad essere empaticamente connesso con la ragione e il sentimento dei propri rappresentati è destinato ad essere sempre più marginalizzato e ad esercitare la propria funzione di leader ai minimi livelli e solo nei confronti del cerchio magico di interessati adoratori che, personaggi di tale livello, si trovano intorno pronti ad offrire elogi e applausi a prescindere.
Idee innovative ci sono, perché ce le porge la società stessa, le drammatiche situazioni sociali, ambientali, storiche e, forse, ancora non è nato il o la leader capace di interpretare in maniera sinteticamente significativa la complessità dell’attuale situazione.
La soluzione? Forse è quella di lavorare sul campo, impegnarsi, proporre, lottare, seminare fame di giustizia e sete d’uguaglianza, sporcarsi le mani, e non solo,  sperando che da quest’humus possano nascere, crescere e formarsi i nuovi leaders.  
E poi, se son rose fioriranno!
Ad maiora


MIZIO

mercoledì 7 ottobre 2015

'A LA BASTILLE


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Nella civilissima Francia, la compagnia di bandiera nazionale Air France preannuncia un corposo piano industriale che prevede migliaia di licenziamenti nel glorioso solco dell’iperliberismo che, laddove ci sono errori e pecche di gestione e valutazioni chiede di pagarne il prezzo sempre e comunque ai più deboli, ai lavoratori.
Pur non essendo i sindacati francesi omologabili per accondiscendenza a quelli italiani (con alcune gloriose eccezioni come la Fiom e alcune sigle autonome) la reazione dei dipendenti non ha seguito i normali canali previsti in casi come questi, quelli di una lunga e difficile trattativa sindacale, ma hanno percorso la via più breve e diretta. I responsabili della gestione del personale (autori pratici del piano di riorganizzazione) sono stati molto semplicemente e brutalmente messi a conoscenza del non gradimento dell’operazione e lasciati letteralmente senza camicia e costretti ad un’ ingloriosa fuga in mutande che molto poco si addice alla dignità e al rigore dell’incarico ricoperto.
Ovviamente da noi che siamo quasi sempre spettatori e quasi mai protagonisti si è levato il solito classico lamento italico :”Hanno fatto bene!”, “Loro si che si fanno rispettare.” “Dovremmo farlo anche noi” (che in genere significa lo faccia qualcun altro che io tengo famiglia). Ma al di là di questo, cosa significa ciò? Intanto che non è un caso che in Francia ci siano state rivoluzioni di cui noi abbiamo solo avuto percezioni di rimbalzo e che, comunque, hanno interessato solo una fascia limitata della popolazione. Che in Francia non è un caso che gli scioperi , molto più duri e massicci, di quelli nostrani non suscitino reazioni scomposte ma, anzi, molto spesso ricevono attestati di solidarietà da altre categorie sindacali e sociali. Non è un caso che il senso di appartenenza e l’orgoglio del francese tipo siano dovuti all’attenzione che lo stato gli ha sempre rivolto in termini di servizi e welfare (non messi in discussione sostanziale storicamente neanche dalla destra) creando un clima di solidarietà e comunanza di cui da noi non troviamo traccia.
In questo quadro che le politiche neoliberiste imposte dal potere finanziario globale, dall’Europa a trazione tedesca,che l’imposizione delle privatizzazioni e della riduzione generalizzata del costo del lavoro attraverso licenziamenti di massa possano provocare reazioni di tipo diverso dalle nostre appare, oltre che probabile, quasi certo. D’altra parte ricordiamo il precedente del sequestro, qualche anno fa, dei dirigenti della locale Telecom le cui scelte di drastico ridimensionamento provocarono numerosi suicidi e disperazione tra migliaia di lavoratori.
Giglioli sull’Espresso parla della crisi dei corpi intermedi, ed è sicuramente una giusta e condivisibile chiave di lettura. Ma se fosse solo questo non si spiegherebbe come mai analoghe e peggiori reazioni simili non avvengano anche da noi dove il ruolo dei sindacati e dei partiti di sinistra negli ultimi decenni ha progressivamente e passivamente assistito o, addirittura, gestito l’impoverimento generalizzato dei lavoratori.
E cerco di essere più chiaro arrivando brevemente al punto. Appare chiaro che la banalizzazione e l’appiattimento dovuto alla massificazione attraverso l’imposizione di modelli standard comportamentali e sociali sembra cominciare a scricchiolare paurosamente.
Questo porta ad una serie di riflessioni: la globalizzazione intesa come possibilità per il modello iperliberista di fare e sfruttare a piacimento, non può e non deve essere vista come un’ineluttabilità scritta nel destino dell’umanità. L’evoluzione delle varie società, gruppi o etnie ha seguito percorsi diversi di cui si può e si deve tenere conto. La globalizzazione deve viaggiare acquisendo inestimabile valore, sulla  possibilità di contaminazione culturale per l’arricchimento singolo e collettivo, per le stupende possibilità di migliorare il proprio status sociale e morale, ma non può e non deve costituire il volano per ampliare l’area di sfruttamento e di limitazione dei diritti umani  prima che democratici, come invece è avvenuto e sta avvenendo.
Qui entra in ballo la politica e le sue scelte. Non voglio ripetere fino alla noia i danni mostruosi che  questo tipo di sviluppo ha provocato e le responsabilità, in questo, del potere politico. Le conosciamo tutti benissimo. Le masse che migrano e si spostano per guerra, per fame, per bisogno, per paura sono filiazione diretta di logiche finalizzate al massimo profitto sotto qualsiasi forma. Come si dice “pecunia non olet” si può guadagnare potere e ricchezza, con le armi, con il petrolio, con il traffico di esseri umani o con qualsiasi tipo di sfruttamento, basta essere privi di scrupoli e legalizzati dalla debolezza e dalla collusione del potere politico.
La sinistra, anch’essa, nel corso degli ultimi anni, avendo perso di vista il punto di partenza e, soprattutto, non vedendo ancora quello d’arrivo, s’è accomodata in una lettura analoga  a quella del potere non sforzandosi di adottare parametri alternativi di giudizio e conseguenti valutazioni.
Alt! Fermiamoci un attimo. Rimettiamo tutto in discussione, rivediamo le nostre priorità. Non si può, nelle analisi e nelle scelte tenere fuori l’elemento principale: l’essere umano. La politica deve ricominciare,(o cominciare) a riparametrare le scelte e le visioni non in base a sole valutazioni economiche, sociali, culturali e morali che, però, non tengano conto della meravigliosa possibilità di scoprirsi simili e più ricchi nel riconoscimento della diversità. Applicare le regole del neoliberismo in maniera acritica imponendola a tutti espone a comportamenti e reazioni diverse a seconda dell’ambiente in cui vengono calate. Ecco quindi che, anche nella Francia moderna, inserita a pieno titolo nel contesto finanziario mondiale, scelte che sono state già applicate in altri stati e assorbite passivamente, danno luogo a reazioni che, evidentemente, si rifanno a archetipi tramandati attraverso le generazioni.
Quindi ad azioni simili in Francia si griderà. ‘A la Bastille”, in Grecia magari ”Oxi” e in Italia “...tacciloro!”. Tutto questo alla fin fine per dire cosa? Una cosetta semplice semplice. Non esiste sistema o ideologia che possa ritenersi ideale se non tiene conto dell’elemento umano. Prima le persone, poi tutto il resto.

Ad maiora

MIZIO

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