mercoledì 26 febbraio 2014

APPOGGIANO RENZI PER ELIMINARE LA SINISTRA

Una magistrale inchiesta di Franco Fracassi svela l'intreccio dei nomi che svernano all'ombra di Renzi. E c'è poco da stare allegri perchè, tra questi, ve ne sono di terribilmente inquietanti. 


Quando negli anni Ottanta Michael Ledeen varcava l'ingresso del dipartimento di Stato, al numero 2401 di E Street, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta. Quello, per lo storico di Los Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale lavoro: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall'Amministrazione Bush, oltre che teorico della guerra all'Iraq e della potenziale guerra all'Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano.
Oggi Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del Partito democratico Matteo Renzi. Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l'allora presidente della Provincia di Firenze si è recato nel 2007 al dipartimento di Stato Usa per un inspiegabile tour. Non è un caso che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il "New York Post", ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby pro Israele e pro Arabia Saudita. In questa direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele. Carrai ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures e, il cui padre, Franco, fino a pochi anni fa è stato arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l'Italia a Israele.
Forse aveva ragione l'ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c'è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D'Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che vogliono liquidare la sinistra». Dietro Renzi ci sono anche i poteri forti economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d'affari responsabile della crisi mondiale. Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari.La carriera del giovane broker italiano venne punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. In quegli anni trascorsi dentro il gruppo statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo (Unicredit), passando per l'allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado Passera. Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo. E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments.Già nel primo anno Algebris passò da circa settecento milioni a quasi due miliardi di dollari gestiti.L'anno successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l'attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d'ogni tempo. Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di mettere un piede in Mediobanca.
Definito dall'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione Metropolis. E così, nell'ultimo anno il gotha dell'industria e della finanza italiane si sono schierati uno a uno dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l'ha»). E ancora, Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e l'amministratore delegato Andrea Guerra, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l'ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara Berlusconi, i banchieri Fabrizio Palenzona e Claudio Costamagna, il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti, Patrizio Bertelli di Prada, Fabrizio Palenzona di Unicredit, Il Monte dei Paschi di Siena, attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini, e, soprattutto, l'amministratore delegato di Mediobanca Albert Nagel, erede di Cuccia nell'istituto di credito.

Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, "Il Corriere della Sera", da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici. Il Corriere ha ripreso alcuni passaggi dell'ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi. Il defunto segretario del Psi Bettino Craxi diceva: «Guarda come si muove il Corriere e capirai dove si va a parare nella politica». Gad Lerner ha, più recentemente, detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all'italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience».


venerdì 14 febbraio 2014

VOLA L’ENRICO, ARRIVA RENZINO



Fino a qualche anno fa quando un governo non aveva più la maggioranza e non rappresentava più, quindi la volontà popolare, veniva sfiduciato dal Parlamento.
Parlamento formato da eletti e non da nominati, questo è vero, e nello stesso Parlamento si discuteva, si decideva eventualmente un nuovo governo o si tornava al voto.
Ora tutto questo sembra appartenere alla preistoria, i governi si decidono in incontri a due, a tre o con decisioni personali come è successo per gli ultimi esecutivi.
Ieri, ad esempio, Il governo Letta non è stato sfiduciato dal Parlamento (benchè scarsamente, rappresentativo), ma dalla “smisurata ambizione” di un singolo che, evidentemente rapito dal sacro furore di investitura divina (ricorda un altro unto dal signore), ha deciso di soprassedere a tutte quelle fastidiose formalità che prevedono le normali regole di una democrazia rappresentativa.
Non a caso, infatti, il programma di governo che sarà presentato, riguarda quasi esclusivamente aspetti di ingegneria istituzionale: riforma elettorale, riforme costituzionali,  riforma del mercato del lavoro, ovviamente, tutte, con la formula del prendere o lasciare.
Beh, forse sarò un nostalgico, ma credo fermamente che un paese non possa essere riformato e governato sull’onda dell’emotività e dell’umoralità del momento e del singolo. Che una Costituzione, pensata e ponderata accuratamente in momenti in cui la libertà e la democrazia rappresentavano un valore da difendere e preservare per le generazioni future
possa essere cambiata a colpi di maggioranza parlamentare senza coinvolgimento del popolo e dei suoi rappresentanti si profila, senz’altro, come un pericolo e un attentato alla democrazia stessa.
Si dice il momento è grave (lo sento dire da qualche decennio, ormai), le vecchie regole non valgono più.
Bene posso anche essere d’accordo, ma le nuove regole vanno riscritte insieme. Non si può pensare ad una legge elettorale che non tenga più conto, ad esempio, della rappresentatività, che era uno dei principi alla  base del sistema  elettorale con il sistema proporzionale prevista dalla costituente. E’ vero i piccoli partiti possono essere un intralcio per alcune azioni di governo, possono esercitare pressioni per ottenere più vantaggi di quelli che spetterebbero, ma rappresentano, anche e soprattutto, fette di società che altrimenti non avrebbero visibilità.
Ovviamente ci riferiamo a quei partiti e movimenti che hanno una loro storia e motivazioni sociali, non certo alle liste create “ad personam” per squallidi interessi di bottega.
Leggiamo, inoltre, che la lista dei ministri dell’autocandidato premier è stata sottoposta al vaglio del presidente di Confindustria, o addirittura che sia stata concordata con questi.
Fosse anche solo questo ci troveremmo di fronte a un fatto gravissimo di fronte al quale qualunque persona abbia a cuore la democrazia e la libertà (e si, anche la libertà) ha il dovere di indignarsi e di prendere posizione.
Ad maiora


MIZIO

lunedì 10 febbraio 2014

CINQUE STELLE, FORCONI E POI….


Il fenomeno Cinque stelle e il suo epigono ultimo, i Forconi, sono stati demonizzati o esaltati a seconda del momento e dell’interesse. Si sono fatte, analisi, ricercate analogie con movimenti passati, studiati col microscopio i loro messaggi , il loro linguaggio per capirne la tecnica e il mistero del successo.
In questo il M5S si differenzia dai forconi per una sua leadership visibile e riconosciuta, uno straordinario veicolo pubblicitario e promoter del Movimento come Beppe Grillo. Ma il linguaggio e le finalità dichiarate sono le stesse. Entrambi guardano oltre (!), entrambi hanno come slogan “Tutti a casa” e senza condizioni, entrambi non fanno differenze tra destra e sinistra.
Non ci voleva Grillo o Casaleggio per capire che, soprattutto nel periodo della seconda repubblica, qualcosa stava cambiando rapidamente nella sensibilità della società italiana. Tangentopoli con il suo effetto tsunami su un’intera generazione e classe politica, aveva dimostrato che il re era nudo e poteva essere messo in discussione e persino abbattuto, caricando di messianica attesa e speranza la nuova stagione politica. Speranza incarnata alla perfezione e con abile strategia politica e mediatica da Berlusconi.
Il Partito Comunista che fino ad allora rappresentava le speranze di chi ambiva al cambiamento, cambiava invece se stesso, iniziando un percorso che, in nome della governabilità lo porterà nel tempo a spostare progressivamente le proprie posizioni fino a non poter essere più, ragionevolmente, nelle sue ultime versioni, DS e PD, considerato  di sinistra.
E nulla sarebbe accaduto se i giochi fossero rimasti gli stessi mantenendo e, possibilmente, migliorando lo status quo sociale.
 In Italia alla fin fine vale sempre il detto “Francia o Spagna, basta che se magna..”.
Ma gli appetiti delle lobby, la corruzione dilagante a tutti i livelli, l’impreparazione incapace di un’intera classe politica, le richieste di rigore dell’Europa e infine una crisi globale devastante hanno fatto vacillare le sicurezze di chi (la maggioranza) si era cullato nell’idea che tutto cambiava affinchè nulla cambiasse. Aumento delle tasse, precarietà del lavoro, incertezza sul presente e sul futuro, hanno mutato la pacata e passiva accettazione dell’italiano medio.
I discorsi nei bar e nelle strade non sono molto diversi da quelli che si facevano nella Prima Repubblica, ma è cambiato il clima intorno, si percepisce un pericolo diretto, reale non metaforico o potenziale alla propria qualità di vita. Solo che non si vede chi e come potrebbe rappresentare questa paura rabbiosa. Come si diceva prima, l’opposizione, soprattutto di sinistra, era stata completamente assorbita e assimilata al sistema e non è più percepita come alternativa.
Grillo, rispetto ai politici di professione chiusi nei loro palazzi, completamente scollegati dal mondo reale, riesce a intercettare e a dare voce a questo sentire comune e lo fa con la sua tipica foga e abilità istrionica costruita con anni di professione nel mondo dello spettacolo.
Abbinando questa sua popolarità al risentimento cronico, ma in questo caso giustificato, dell’uomo della strada, con l’utilizzo dei moderni mezzi di comunicazione e l’appoggio di un personaggio abile nel gestire fenomeni comunicativi come Casaleggio, il Movimento Cinque Stelle decolla e trova praterie sterminate di consensi e simpatie, andando anche al di là di quelle che erano le intenzioni e le speranze dei promotori.
Chi non ha capito e tenta esclusivamente di demonizzare il fenomeno, non fa altro che portare legna al camino di Grillo e dimostra che l’ignoranza politica non è  prerogativa solo del cittadino medio. Stanno riducendo il tutto ad un problema di sistema e di alchimie politico-elettorali dimostrando ancora una volta l’incapacità di leggere e interpretare il sentire popolare.
Vista la situazione reputiamoci fortunati che in Italia il malcontento sia interpretato dal movimento di Grillo, ma se continua la cecità politica non è detto che non si debba parlare anche d’altri fenomeni ben più inquietanti e pericolosi. Il movimento dei Forconi è lì a dimostrare che già si sta provando ad andare “oltre”, anche oltre Grillo!


MIZIO

domenica 2 febbraio 2014

IN PRINCIPIO FU LA SCALA MOBILE


Era il 1984 e un rampante Presidente del Consiglio, Bettino Craxi (e sì! I giovani rampanti non sono una novità di oggi), sulla scia del Tatcherismo inglese e dell’edonismo reaganiano, individua nel costo del lavoro e segnatamente nella scala mobile l’origine di tutti i mali italiani e con proditorio colpo di mano ne cancella una buona fetta. Ricordiamo, per i più giovani, che la scala mobile era uno strumento economico di politica dei salari, volto ad indicizzare automaticamente i salari all'inflazione e all'aumento del costo della vita secondo un indice dei prezzi al consumo che fu negoziata nel 1975 dal segretario della CGIL Luciano Lama assieme agli altri sindacati e a Confindustria, atto a recuperare il potere d'acquisto perso dal salario a causa dell'inflazione. In parole povere difendeva i salari dei lavoratori adeguando gli stessi automaticamente al costo della vita.
Il Partito Comunista, segnatamente, nella figura del segretario Enrico Berlinguer, e la stessa CGIL promossero un referendum abrogativo della legge.
Ovviamente gli italiani (ricordiamo che allora la percentuale di lavoratori dipendenti, era molto più alta dell’attuale) seguirono in maggioranza i pifferai magici che pronosticavano in caso di vittoria del si all’abrogazione chissà quali scenari da incubo.
Sulla scia di questa vittoria (risicata) parti l’offensiva neoliberista al costo del lavoro (o meglio al costo del lavoratore). Il governo tecnico Amato nel 1992 abrogò la restante quota che era rimasta della scala mobile, ricordiamo che nel frattempo era morto Berlinguer, si era sciolto il PCI dopo la caduta del muro di Berlino, dando vita al PDS partito più moderno (!) e adeguato ai tempi, e lo stesso sindacato si apprestava a inaugurare la stagione della concertazione nel 1993 che, nei fatti si tramutò in una progressiva ma inesorabile perdita di diritti e rappresentatività dei lavoratori.

L’offensiva era, comunque ancora agli inizi, lungi dal confrontarsi seriamente con i reali motivi della crisi italiana (disuguaglianza sociale, corruzione, evasione fiscale classe politica e imprenditoriale di rapina pronta a scaricare sulla collettività le sue inefficienze e ruberie), l’obiettivo lavoro e lavoratore rimane l’alibi e il bersaglio principale per continuare nell’opera di “modernizzazione”.
Arrivano le leggi sul precariato che introducono forme di sfruttamento del lavoro giovanile a tutto vantaggio dell’impresa (a tutt’oggi abbiamo ancora migliaia di precari di 50 e più anni), partono i processi di privatizzazione e liberalizzazione di interi comparti di servizi pubblici con relative ricadute su occupazione, qualità, investimenti.
Arriva anche l’accellerata sul processo di unione europea che, sospinta da questo vento liberista, si trasforma rapidamente da grande utopia d’unità tra i popoli a freddo calcolatore di interessi e strumento punitivo e coercitivo di diritti e libertà, ovviamente soprattutto dei lavoratori.
Non voglio addentrarmi nei minimi particolari di questo processo che va avanti ormai da oltre 20 anni e che sembra non trovare ostacoli, in cui i diritti sono sempre troppi, dove il lavoro e il lavoratore sono visti non come un strumento necessario e utile allo sviluppo individuale e sociale, ma come un freno e un intollerabile limite al “legittimo profitto” di imprese, lobby e banche. Si demonizzano le idee e proposte che, in qualche misura, possano far pensare a rigurgiti di natura socialista o (orrore) addirittura marxista.
L’essere umano lavoratore, l’unico, forse, insieme all’ intellettuale che contribuisca fattivamente al progresso con la propria manualità o col proprio ingegno è sottomesso e vessato da poteri (politico e/o finanziario) che non avrebbero motivo d’esistere se non ci fosse quella parte produttiva della società.
Questa rapida analisi aveva un fine molto semplice e di facile lettura, dimostrare che, fatti e dati alla mano non era la scala mobile, non era il costo del lavoro, non era e non è l’esistenza di una rete di servizi pubblici ala base delle innumerevoli crisi della società, in questo caso italiana.
Alla base c’è sempre la smania di potere, la corruzione, l’ingiustizia sociale, il voler assicurare fette di profitto sempre più alte per sé e per i propri interessi, follie ideologiche di dominio globale d’origine massone e/o fasciste. Insomma in una sola parola “IL CAPITALISMO” (soprattutto nella sua ultima versione iper-liberista), questo è il vero e unico colpevole della miseria, del mancato sviluppo, della mancata giustizia sociale, della finta democrazia, della corruzione e di uno sviluppo cieco e irresponsabile.
Ogni tanto, magari, ricordiamocelo quando per essere in linea e accettati elaboriamo dotte e fumose teorie pur di non chiamare le cose col loro nome di battesimo.
Ad maiora.


MIZIO